La crescita degli NFT nell’arte e la regolamentazione a livello europeo
Il mercato degli NFT ha registrato una crescita nel settore da soli 41 milioni di dollari nel 2018 a 2,5 miliardi di dollari nella prima metà del 2021, raggiungendo un aumento di quasi 60 volte in tre anni e mezzo. Mentre le analisi dell’investment bank statunitense Jeffries parlano di 35 miliardi nel 2022 e almeno 80 miliardi nel 2025.
L’esplosione della bolla, ad oggi, ha comportato una presa di coscienza delle opportunità effettive di questo strumento anche al di fuori della propria nicchia. Nel mondo dell’arte, in particolare, la tecnologia blockchain sottesa ai non-fungible token (NFT) si è rivelata la risposta a due diverse esigenze.
Da un lato, i musei hanno potuto rifinanziarsi dopo la chiusura pandemica, attraverso la digitalizzazione dell’esperienza museale e la trasformazione delle proprie opere in NFT, rivendendole all’asta e garantendone un certificato di autenticità ed unicità.
Dall’altro, si è potuto scavalcare a piè pari l’annoso problema dei falsi d’autore, dando vita ad un’evoluzione del collezionismo che — i numeri parlano chiaro — ha ottenuto un’ottima risposta dal mercato, nonostante si tratti di opere intangibili.
Gli NFT, infatti, non sono altro che certificati di autenticità che attestano la corrispondenza tra autore dell’opera e possessore e/o rivenditore. Lo scetticismo che in prima battuta aveva frenato i più dal credere che questo mezzo potesse davvero rappresentare un’alternativa valida per il mercato fisico, è oggi stato soppiantato dal fatto che l’esigenza da parte degli investitori di una certificazione di paternità incontrovertibile, sicura e verificabile, fosse nettamente più forte.
Inoltre, la certificazione NFT fornisce una soluzione anche alle problematiche che hanno tormentato intere generazioni di artisti, a partire dalla riscossione delle royalties, nonché offrendo ad investitori e collezionisti il vantaggio di consentire valutazione e scambio in tempo reale.
In Italia un caso che ha sicuramente destato interesse è sicuramente quello di Shitties by World’s Shittiest Art: una collezione di NFT lanciata dall’artista anonimo che si identifica con lo pseudonimo di Shitoshi Nakamoto. Basandosi sulla “merda d’artista” di Piero Manzoni del 1961, che ha avuto un grande impatto sull’intero mercato dell’arte con la sua idea provocatoria e rivoluzionaria, Shitoshi e il suo team hanno deciso di raccogliere feci di personaggi famosi da tutto il mondo.
Hanno raccolto oltre 1500 feci umane in tutto il mondo nel giro di 2 anni, confezionandole in lattine all’avanguardia e digitalizzandole in una collezione di 100 NFT: Shitties. Sin da subito la collezione ha attirato l’interesse della community NFT: in un mese sono state vendute oltre 45 opere per un totale di quasi 80 Ethereum, un valore pari a oltre 232mila euro. Una di queste la Shit #087 — Bill Gates, è stata venduta alla conferenza metaver.so, ad un valore di 7500$, con oltre 20 offerenti.
Nel caso di Shitties, i possessori degli NFT non solo sono proprietari di un’opera d’arte unica al mondo, ma possono inoltre guadagnare tramite proventi dalle commissioni di transazione sugli scambi, partecipare in prima linea alle successive release dell’artista e partecipare attivamente allo sviluppo del progetto.
Sicuramente più il mercato si allarga, più la necessità di una disciplina economico-guridica che rispecchi le direttive di armonizzazione del libero scambio in Europa, e le relative tutele, è fondamentale. Da questo punto di vista, la prima criticità è stata rappresentata dalla ricerca di una definizione giuridica omnicomprensiva del bene oggetto di tutela, ovvero l’NFT in quanto asset. Tale definizione — a cavallo tra il bene finanziario e l’opera intellettuale — dovrà necessariamente evolvere con l’evolvere del fenomeno, viaggiando su più livelli, e mantenendo ben presente il principio di neutralità tecnologica.
Nel settembre del 2020, quindi, si è arrivati ad una proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio europei, nota nell’ambiente con l’acronimo MiCA o MiCAR (Market in Crypto Asset Regulation), e per l’appunto, volta a disciplinare il mercato degli asset crittografici e a modificare la Dir. (UE) 2019/1937. Un corpo normativo che consta di ben 126 articoli, nei quali gli NFT non sono mai espressamente menzionati. A tal proposito, risulterà cruciale aspettare una fase applicativa per stabilire se questo tipo di assets possa rientrare o meno nel futuro regolamento europeo.
Tale normativa ha, infatti, il solo scopo di rappresentare l’impianto autorizzativo, regolatorio e di vigilanza a cui nei prossimi anni gli attori del mercato dovranno rifarsi all’interno dell’Unione.
Il che non costituisce a priori una limitazione, anzi potrebbe, al contrario, significare l’opportunità di usufruire di vantaggi, legati ad autorizzazioni uniche nel loro genere, parimenti a come accade a livello finanziario e tributario.
Due aspetti restano da sviscerare: l’applicabilità delle normative anti-riciclaggio agli NFT in quanto strumento finanziario, e la tutela del diritto d’autore in quanto opera dell’ingegno.
Sul primo punto interviene la disciplina di cui alla Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cd. MiFID II) inquadrando gli NFT come strumenti finanziari. Al riguardo occorre partire dall’assunto per cui, al di fuori della categoria di strumenti tassativamente contenuti nell’elenco, la relativa normativa non sia direttamente applicabile. Inoltre, le caratteristiche proprie degli NFT come strumento di certificazione dell’opera d’arte risultano incompatibili con la normativa sopra richiamata, nella quale vengono menzionati i caratteri di fungibilità intercambiabilità ovvero replicabilità dello strumento finanziario.
Sul secondo punto, invece, il dibattito è aperto. In tal senso viene chiamato in causa il diritto d’autore (di cui alla L. n. 633/1941 e successive modifiche), nonché la natura del discusso rapporto tra l’autore dell’opera — titolare dei diritti — e gli utilizzatori della stessa. La questua è se tale rapporto tra titolare e utilizzatore possa essere gestito mediante contrattazioni specifiche quali le licenze d’uso, comunemente utilizzate, e, se sì, come ciò combaci con la natura degli NFT e le modalità con cui questi vengono scambiati, per esempio, tramite smart contract.
Nonostante non si sia ancora arrivati ad una conclusione a riguardo, appare del tutto plausibile annoverare gli NFT tra le opere dell’ingegno tutelabili attraverso il diritto d’autore, poiché come abbiamo visto, nella maggior parte dei casi — pur non sussistendo il requisito della materialità — è certamente ravvisabile il requisito minimo di originalità e creatività, soprattutto in relazione alla nuova compagine artistica dei digital- artist che proliferano nutrendo il mercato e facendogli acquisire la propria personalità.
Concludendo quindi, in base alle odierne risultanze, appare plausibile ritenere che agli smart contract, quali strumenti di scambio degli NFT, possano — e debbano — essere incorporate licenze di sfruttamento economico dell’opera da parte del titolare dei diritti, in modo tale da permettere anche in questo particolare contesto, di gestire i rapporti con gli utilizzatori.
Ciò potrà e dovrà avvenire necessariamente con il supporto della blockchain quale unica tecnologia in grado di consentire, tra le altre cose, di certificare lo storico delle cessioni degli NFT tra gli utenti e, inoltre, di assicurare sempre una conoscenza e conoscibilità della paternità dell’opera.